All you need is Lovelace: Ada, la madre dell’informatica e dell’AI

Era il 10 dicembre 1815 quando, dalla residenza di Lord Byron (nobile, poeta e politico britannico del XIX secolo), riecheggiava il pianto di un nascituro. Nella mente del Barone si prefigurava l’idea di un primogenito maschio, forte e capace di portare avanti il buon nome della famiglia. Byron correva, sino a giungere nella stanza principale, dove Anne Isabella Milbanke (moglie di Byron)  stringeva tra le mani una dolce e meravigliosa creatura. Tuttavia, non era un maschietto…bensì una femminuccia! La delusione solcava il volto di Byron. Eppure, non appena lo sguardo del barone aveva incrociato quello della pargoletta, era stato amore a prima vista! Byron era stato attraversato da una sensazione premonitrice. In quegli occhietti vispi aveva visto l’avvenire della sua dinastia, un futuro segnato dalla grandezza. Prese tra le mani sua figlia, la sollevò al cielo e disse: ti chiamerò Ada!

E oggi, Signore e Signori, abbiamo il piacere, ma che dico…l’onore di avere ospite una delle donne più intelligenti di sempre. Una persona che ha rivoluzionato il sapere scientifico e ha cambiato il corso della storia. L’enfant prodige che non meritavamo, ma di cui avevamo bisogno! Signore e Signori, fate un grosso applauso per la madre dell’informatica: Ada Lovelace!

(Applausi)

Oh, cielo, caro! Che presentazione trionfale, ma non sono mica la principessa, bastava molto meno!

Sono mortificato! Ha perfettamente ragione. Lo faccio presente alla mia troupe! Francooo….

Non preoccuparti, caro! Piccola burla da baronessa, non sono ancora le cinque del pomeriggio. Comunque non vorrei annoiare i lettori con le vicissitudini della mia vita. 

La prego, insisto!

Beh, uomo avvisato…mezzo salvato! Per chi non lo sapesse, avrete già capito che le mie origini sono tutt’altro che umili. Mio padre era Lord Byron e io sono la sua unica figlia…legittima. Sà, papà, che Dio l’abbia in gloria, amava la poesia, la filosofia e la fi…la compagnia femminile, non so se mi spiego! Quindi, ero la sola figlia riconosciuta, ma non l’unica avuta. Tuttavia, come padre non fu un granché! All’età di un anno, lasciò soli me e mia madre, per poi morire nella guerra di indipendenza greca (1824), quando avevo solo otto anni.

Seppi di essere sua figlia a vent’anni, quando mia madre mi mostrò un suo quadro, anche se da tempo sospettavo di essere figlia di Byron! 

E perché non le rivelò prima questa cosa?

Penso che mamma non volesse farmi soffrire! In più, era terrorizzata all’idea che potessi dedicare la mia vita alla poesia, così come aveva fatto papà. E venire a conoscenza di essere la figlia del più grande poeta esistito, non avrebbe aiutato! 

Poverina! Mamma non aveva avuto una figlia facile: ero cagionevole, sempre malata e fragile, abilissima nelle materie scientifiche (che erano prettamente di dominio maschile, per cui le donne non erano ben accette) e…sognatrice!

Secondo Lei, perché l’ha allontanata dalla poesia?

Penso che sia rimasta così scottata dal rapporto con mio padre, che avrebbe rivisto lui in me, se avessi seguito le sue idee! Però, mi piace pensare che abbia riconosciuto il mio talento per le scienze, e abbia voluto proteggermi! Dopotutto, questo mondo non è fatto per chi sogna ad occhi aperti! Bisogna essere scaltri, svelti e svegli, per non inciampare nelle trappole del prossimo e nelle insidie della società. Così, all’età di 17 anni, venni istruita in matematica e scienze da William Frend, William King Mary Somerville, illustre matematica che aveva tradotto (in inglese) i lavori di Laplace. Fu proprio lei ad incoraggiarmi negli studi matematici, seguendo un approccio filosofico, quasi poetico.

Caspita! Se l’avesse saputo sua madre, l’avrebbe licenziata in tronco! 

Esattamente! La scienza, che avrebbe dovuto sottrarmi alla poesia…ad un mondo popolato da fate e unicorni, mi stava richiamando al mio destino. Dopotutto, nelle mie vene scorreva anche il sangue di mio padre, e non potevo vedere il mondo se non poeticamente. Dopotutto, quanta differenza può esserci tra uno scienziato, un filosofo e un poeta? 

Non lo so, nella nostra società sono figure molto diverse! Addirittura, il poeta non è nemmeno una professione.

Tuttavia, se si eliminano i costrutti della società, grattando la superficie e scavando più a fondo nelle cose, noterà che non c’è una grande differenza: scienziati, filosofi e poeti vedono il mondo con occhi diversi! Certo, il metodo, gli strumenti e l’approccio che hanno nei confronti di quello che analizzano cambia: gli scienziati usano strumenti che riteniamo oggettivi (il linguaggio matematico) e adoperano l’intelligenza logico-analitica; i filosofi usano proprietà qualitative (qualia) e sfruttano l’intelligenza logico-esistenziale; e i poeti…beh, i poeti usano un approccio molto naïve. Però, non si può essere scienziati senza essere anche filosofi, perché entrambi amano la conoscenza. E una scienza senza filosofia è cieca, come la filosofia senza scienza è inattuabile. Inoltre, non si può essere né filosofi né scienziati, se non si riconosce la poesia che si cela dietro il sapere. È qualcosa che non si può spiegare, è un fuoco fatuo che non si estingue…lo stesso che anima i poeti nella loro creazione. 

La sua visione poetica della scienza è affascinante! Ma non tutti potrebbero essere d’accordo. 

Assolutamente! Non sono qui per convincere nessuno, ma solo per esprimere il mio punto di vista.

E la ringrazio per questo! Sa come si dice: << dietro un grande uomo, c’è sempre una grande donna>>. Nel suo caso, ce ne sono addirittura due!

Si! La prima è mia madre, che nonostante il suo dissenso per la poesia, è stata una figura fondamentale nella mia vita. L’altra è stata la mia insegnante, che ha alimentato le mie passioni. Insomma, sono una donna cresciuta e salvata da altre donne, come una amazzone! Però anche le figure maschili sono state importantissime nella mia vita. C’è mio marito, William King-Noel (conte di Lovelace), grazie al quale sono diventato contessa nel 1835. 

Scommetto che è stato il giorno più importante della sua vita! 

Assolutamente no, caro! I giorni più importanti della mia vita, corrispondono alla nascita dei miei tre figli, e all’incontro con Charles Babbages (1833). Un uomo estremamente colto, intelligente e versatile. Già famoso agli occhi del mondo per le sue strampalate invenzioni. 

Di quali invenzioni parla?

Ah, mi stupisco di Lei, figliolo! Non ha fatto i compiti a casa. In primis, la macchina differenziale: un congegno meccanico, capace di risolvere equazioni polinomiali, applicando solo la somma. Questa era composta da due parti principali: il motore, che forniva energia alla macchina (tramite manovella o pedale); e il mulino, che eseguiva i calcoli, tramite una serie di ruote dentate che rappresentavano le cifre decimali dei numeri. Da qui, l’intuizione di Babbage: e se le macchine non si limitassero a calcolare, ma potessero “pensare”?

Oddio! Ma ha anticipato di un secolo il pensiero di Turing!

Chi? 

Lasci stare, un matematico che verrà molto dopo di lei! 

Penso che l’ispirazione di Baggage nascesse dallo sviluppo dell’orologeria, che a sua volta aveva generato un artigianato degli “automi” (usati solo per divertimento). Poi, c’era anche il telaio di Joseph-Marie Jacquard, ovvero un dispositivo applicato ad un normale telaio, che permetteva di eseguire disegni complessi. 

Sin dal nostro primo incontro, Baggage nutrì una forte simpatia per me! Forse perché riconobbe il mio talento con i numeri e, ancor più probabile, ero l’unica capace di capire e assecondare le sue idee visionarie. Anzi, spesso ero io ad alimentare il suo genio creativo, attraverso le mie intuizioni. Così, divenni una specie di sua musa ispiratrice, tanto da chiamarmi: “incantatrice di numeri”! Così, cominciammo a lavorare sul progetto di una “macchina pensante”: la macchina analitica. Sulla carta, si trattava di un congegno meccanico provvisto di: un sistema di input, uno per l’elaborazione dei dati chiamato “Mill” (mulino), e un sistema di output. Sarebbe stata alimentata da un motore a vapore e i dati d’ingresso, sarebbero stati inseriti tramite schede perforate, un metodo già utilizzato per programmare i telai meccanici. Tali schede avrebbero avuto la funzione di memoria interna, contenendo 1000 numeri di 50 cifre. 

Ahimè…per quanto lavorassimo giorno e notte, quella macchina non fu mai realizzata! Però, riuscii a pubblicare dei lavori, in cui ne spiegavo il funzionamento, e a sviluppare un “algoritmo” per il calcolo dei numeri di Bernoulli

Beh, con estremo piacere, le comunico che la sua macchina analitica è stata realmente creata! Si tratta del primo calcolatore complesso della storia e, per molti, è considerato antesignano del computer!

A volte, non riesco a seguirla caro! Cosa sono questi computer? 

Delle macchine analitiche potenziate, mettiamola così!

Ah, ne sono lieta! Quindi, l’umanità è riuscita a realizzare il sogno mio e di Babbage? 

Assolutamente! Ed è grazie al suo lavoro teorico, insieme alle idee di Babbage (e ai posteri), che oggi possiamo disporre di questo elevato grado di automazione. Insomma, con il suo articolo del 1843, ha fatto nascere l’informatica e ha anticipato il concetto di Intelligenza Artificiale! 

Non so bene a cosa si riferisca, ma posso intuire che stia parlando di “macchine pensanti”. Siamo realmente arrivati ad un tale grado di sviluppo tecnologico? 

Non proprio! 

Era come pensavo! Difatti, le nostre macchine sarebbero state “intelligenti”, nel senso che avrebbero risolto problemi complessi, ma non sarebbero mai state capace di “pensare” come un essere umano. E sono ancora fermamente convinta di questa mia posizione! L’idea della macchina analitica era di semplificare e velocizzare il lavoro umano, affinché si avesse più tempo!

Più tempo per cosa?

Per dedicarsi all’Arte, alla Letteratura, alla Poesia e alla propria crescita interiore. Insomma, la macchina analitica avrebbe portato ad un secondo rinascimento, consentendo all’umanità di liberarsi dalla schiavitù del lavoro e di esprimersi pienamente! Spero che le vostre macchine vi aiutino in questo. 

Ehm, diciamo che non ne abbiamo capito realmente le potenzialità! E sarebbe auspicabile usare questi strumenti come Lei suggerisce. Ad ogni modo, Lei è stata una grandissima fonte di ispirazione per molti scienziati. C’è un linguaggio di programmazione che prende il suo nome, ed il 24 marzo è riconosciuto come “l’Ada Lovelace Day”. C’è un messaggio che vuole lasciare ai giovani, soprattutto quelli che vogliono seguire le sue orme? 

Si, vorrei solo dirgli: non rinunciate mai ai vostri sogni! Per quanto possano essere bizzari, folli e incompresi. Per quanto possa essere dura e qualcuno possa ostacolare il vostro cammino. Anzi, è proprio in quel momento che dovete farvi valere! Vogliate essere pittori, poeti, scienziati o astronauti non ha alcuna importanza, perché è nel viaggio verso quel sogno che si rivela la poesia che è nella vita! In fondo, cosa rimane di un essere umano, se non ha più il coraggio di sognare? 

Grazie per essere stata qui con noi!

Mario Russo

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Laureato in Ingegneria Meccanica. Da sempre appassionato di arte, scienza e tecnologia. Un inguaribile nerd, un tipo bizzarro con tendenze filosofiche, e un approccio alla scienza anticonvenzionale, perché c’è un modo spregiudicatamente artistico nel fare Scienza!

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