La fotografia è da sempre un forte mezzo di comunicazione, in qualsiasi ambito. Con la nascita dei social sta anche diventando sempre più alla portata di tutti: vengono pubblicate e scattate foto di continuo, possibilmente con foto e luce perfette così da essere più aesthetic possibile. Ad oggi i social sono diventati anche palcoscenico di tutti quei fotografi, professionisti e non, che vogliono trasmettere qualcosa al mondo, a partire dalla loro passione sino al mettere in vetrina i propri lavori. Ma in questa parte della comunità digitale c’è anche una piccola nicchia che vuole portare, attraverso la fotografia, la conoscenza del mondo naturale ad un pubblico vasto. Insomma, sono divulgatori scientifici 2.0, con il plus di scattare bellissime (e spesso importanti) foto.

Su questo scenario, e anche grazie alla presenza sempre più numerosa di fotografi nella nostra associazione, noi di Impronta Animale-APS abbiamo deciso di dare il via ad una rubrica proprio dedicata alla fotografia naturalistica, in Italia. Inizieremo con una categoria un po’ particolare, ovvero la fotografia subacquea e il primo fotografo ad essere intervistato è Marco Spoto, conosciuto su Instagram come wildsphoto.
Chi è Marco Spoto
Ciao Marco, noi di Impronta Animale siamo molto contenti di poterti contare tra i fotografi naturalistici di questa rubrica. Ti spiego un attimo di cosa si tratta: questa è la prima rubrica per il nostro blog composta interamente da interviste. E non solo… è anche la prima che vuole toccare un argomento un po’ laterale della divulgazione e dell’educazione ambientale, ovvero la fotografia naturalistica. In realtà, come vedremo insieme sia con te che con gli altri fotografi, tanto laterale non è, anzi. Prima di iniziare, però vorrei chiederti un attimo di presentarti.
Sono Marco Spoto, dottorando in biologia marina, finanziato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche di Palermo (CNR-IAS) tramite l’Università di Bologna. Il mio dottorato è un ibrido tra biologia marina ed ingegneria informatica, in quanto ho studiato quest’ultima durante il periodo triennale mentre sono poi passato alla magistrale in biologia marina. Quindi abbiamo creato un dottorato di foto-identificazione di cavallucci marini. L’obiettivo primario è quello di andare a identificare le specie del Mediterraneo, e in questo ci siamo riusciti. Poi l’ideale sarebbe riuscire a identificare i diversi individui di cavallucci marini nel Mar Piccolo di Taranto, e su questo ci stiamo ancora lavorando.
Quindi, come ti sei approcciato alla fotografia subacquea? È una passione che è nata prima o in concomitanza al tuo percorso universitario/lavorativo?
Io mi sono approcciato alla fotografia per lo più quando ho iniziato a lavorare nella biologia marina. È nato un po’ tutto in contemporanea. Appena ho comprato la macchina fotografica, ho iniziato a fare anche ricerca. Mi sono appassionato poi alla fotografia, anche come alternativa alla pesca. Quando non pesco, vado a fotografare.

Fotografia subacquea: pro e contro
La fotografia subacquea è però una categoria abbastanza settoriale della fotografia naturalistica e immagino che anche a livello tecnico ci siano delle differenze, già solo per i due diversi ambienti: aria-acqua…
A dire il vero, io ho iniziato a fotografare sott’acqua. L’ambiente terrestre è arrivato dopo. Ho fatto un po’ l’inverso. Sono sicuramente due ambienti diversi. Cambiano un sacco le condizioni di luce, soprattutto e cambia la maneggevolezza della camera, principalmente. Però, essendomi abituato sott’acqua, non so farti un vero e proprio paragone anche perché uso delle macchinette diverse. Sicuramente la luce è una cosa assurda, perché ovviamente più scendi e meno vedi. Quest’anno ho comprato dei flash importanti. Poi il movimento è un’altra importante differenza. Quando sei in immersione sei in movimento praticamente sempre. Fuori dall’acqua è, secondo me, molto più facile. Sei nel tuo ambiente, quando respiri stai fermo.
Quindi, quali sono le sfide della fotografia subacquea?
La parte più difficile è il cercare di non muoversi. Quando faccio la guida subacquea litigo con molte persone perché, quando si fermano a fare una fotografia sott’acqua, tendono a distruggere tutto ciò che hanno sotto i piedi. Perché magari non se ne accorgono o non ci pensano. Ci sono una serie di accortezze da tenere sott’occhio in acqua. Ma, alla fine, se inquadri la scena che vuoi fotografare ti esce lo stesso risultato.
Come per tutta la fotografia “spontanea”, che sia naturalistica, urbana o anche di reportage, ad esempio, non è possibile prevedere ciò che si fotografa. Personalmente, io ho conosciuto diversi fotografi subacquei che per avere la foto perfetta, spostano gli animali così che lo sfondo, le luci e tutto il resto sia perfetto. Così da poter “raccontare quella specifica storia”. Quindi, quello che vorrei chiederti è: qual è il tuo approccio davanti a tutto ciò?
Io amo fotografare gli animali!
Loro “accettano” le fotografie, nel senso che non passano poi il tempo a riguardare come sono usciti in foto e a lamentarsi con te per questo. Quindi, non c’è assolutamente alcun motivo per disturbarli e, soprattutto, distruggere tutto ciò che c’è intorno. Ed è uno dei maggiori problemi che abbiamo a Taranto, un posto amato dai fotografi, perché ci sono i cavallucci marini. Questi sono, poverini, degli esseri inermi, che non scappano ma semplicemente si girano e ti danno le spalle. Ma molti fotografi, per fare una bella foto, li spostano dove vogliono. Io sono molto contrario a questa pratica. Per me toccare l’animale è assolutamente sbagliato. Noi che lo facciamo per ricerca, posso capirlo, anche se io faccio sempre il possibile per evitare di toccarli. Perché è provato anche scientificamente che l’animale viene disturbato e influenzato da ciò che gli appare intorno. Già lo disturbiamo con le luci, i puntatori, le luci continue. Però, diciamo che va bene perché si tratta di dieci secondi. Andarlo a toccare invece, solo perché devi fare lo scatto più bello…è abbastanza sbagliato. Questo è ciò che cerco di far capire a chi fa fotografia. Perché io capisco che mettere due cavallucci vicini crea una foto visivamente molto bella. Ma se aspetti il periodo riproduttivo, capita spesso di vederli già così in ambiente. Poi comunque è molto bello anche quando è da solo!
I colori sotto la superficie marina sono spesso incredibili, davvero sgargianti. Ho visto diverse tue foto dove c’è un’esplosione di colori che lascia senza fiato. Ma l’occhio nudo è diverso rispetto ad una macchina fotografica. Per catturare i colori, puoi riuscirci con la semplice fotografia o ci vuole un importante photo editing dopo?
Con la macchina fotografica, bene o male riesci a rappresentare ciò che vuoi, ma non con i veri colori. A dirti la verità, io sto imparando adesso a fare post-produzione. Però, tramite la fotografia nuda e cruda, non riesci a portare il vero colore che c’è sott’acqua. Con il flash, un po’ sì però comunque devi saper giocare di bilanciamenti di colori. Ma comunque l’editing è importantissimo anche fuori dall’acqua. In linea di massima, qualsiasi fotografia ha un editing dietro. Poi dipende anche dal fotografo, anche perché l’editing può anche rappresentare la firma stessa del fotografo. Io, per esempio, adoro le fotografie più scure, altre persone che conosco preferiscono invece una fotografia più vivida. È abbastanza soggettiva la questione. Io credo che l’editing sia importante principalmente per riportare nella fotografia quei colori base che vedo, ma la macchina non riesce a riportare. Io per ora sott’acqua scatto con una compatta, quindi di sicuro non riesco a catturare i colori. Se scatti con una full-frame già è diverso. Anche fuori dall’acqua, ad esempio, scatto con una mirrorless 4/3 che ha comunque un diaframma un po’ più scuro, mentre sempre la full-frame è più satura. Quindi in entrambi i casi puoi dargli una mano con il post editing. Ovviamente la compatta è peggio di queste due. Io lavoro anche molto con le GoPro e queste, in poca acqua, per me sono anche migliori della compatta, per il semplice fatto che catturano molta più luce naturale. Bisogna imparare a fare l’editing di fotografie, perché è importante. Ognuno ha la sua firma nelle fotografie e l’editing ne è parte integrante.

Fotografia tra ricerca scientifica e divulgazione
Marco, tu oltre che essere un fotografo sei soprattutto un ricercatore. In base alla tua esperienza personale, quanto, secondo te, la fotografia è correlata al mondo della ricerca scientifica?
Noi attualmente lavoriamo su foto-identificazione principalmente perché il dottorato richiede nuove tecnologie per lo studio che non impattassero sugli organismi. I tag su cavallucci marini non possono essere applicati dato che questi animali pesano 10g mentre il tag più leggero arriva a 3g. Di conseguenza diventa impossibile impiantare un tag su un cavalluccio marino, perché vanno ad inficiare le loro abitudini. Per cui abbiamo proposto questo nuovo studio tramite foto-identificazione che potrebbe riuscire nell’intento. Ed è per questo che mi sono approcciato per lo più alla fotografia.

Per quanto riguarda la ricerca nel mio caso, la fotografia è molto correlata. Anche perché, per il progetto a cui partecipo, serve proprio fotografare per la ricerca scientifica. In più, sono dell’idea che la Citizen Science, in generale, sia molto importante. Questo perché, gli scienziati e i ricercatori non hanno la possibilità di andare al mare costantemente, tutti i giorni. Quindi, se qualcuno, per passione, ha la possibilità di fare fotografie e darci dei riscontri sul campo, su ciò che stiamo studiando, in maniera costante, da un grandissimo aiuto alla ricerca. Ad esempio, noi con i diving, sotto questo punto di vista, abbiamo avuto delle collaborazioni settimanali, quindi una grossa fetta di dati.
Cavalluccio marino (Hippocampus guttulatus)- Foto di Marco Spoto
Per la mia esperienza personale, però, nell’ambito della ricerca (parliamo sempre del campo della biologia marina) la fotografia diventa più che altro un surplus. Mi spiego meglio, nel mio lavoro di ricerca la parte importante era ovviamente raccogliere dati, analizzarli, elaborarli. Mentre fotografare magari gli attrezzi di pesca o il pescato stesso diventa qualcosa di poco conto.
Sì, lì è un surplus. Completamente. Quindi da quel punto di vista, con una ricerca scientifica più standard, la fotografia non ha tutta questa importanza e potenzialità. C’è anche il motivo: perché se vado a leggere un articolo scientifico su una determinata specie, può interessarmi vedere una o due foto per capire bene come è stato fatto il lavoro o su quali caratteristiche si sono basati. Però poi, quello che vado a cercare è il dato, il grafico, il risultato.
Però leggere articoli scientifici non è da tutti, anzi e qui mi sorge spontanea un’altra domanda. La divulgazione è l’altro lato di questa medaglia a mio parere. Da una parte c’è la ricerca, dall’altra la divulgazione anche se spesso restano due mondi che si danno le spalle. Se prima abbiamo visto la correlazione tra ricerca e fotografia, ora ti chiedo invece quella tra la divulgazione e la fotografia.
In questo caso, penso che la fotografia sia importantissima ed è il motivo per cui ho aperto la pagina Instagram. Io punto a fare divulgazione tramite la mia fotografia. Perché fare divulgazione con una foto che mostra ciò di cui si sta parlando, porta anche a creare delle emozioni su quell’argomento. Per me la fotografia è un punto chiave della divulgazione. Questo vale soprattutto per quando parliamo di ambiente subacqueo, perché il 60-70% delle persone non ha la possibilità effettiva di vedere quel mondo. Quindi per me è abbastanza importante.

Fotografare gli squali: passione e necessità
Ho visto che hai fotografato molti squali, dall’innocuo squalo balena allo squalo bianco. Guardando tutte queste foto sul tuo profilo, mi sono chiesta cosa si provasse a stare in acqua circondato da tutti loro.
Partiamo dal presupposto che io ho una passione per gli squali. È un caso se al momento sto lavorando sui cavallucci marini. Io adoro gli squali, anche i miei viaggi li baso spesso su di loro. Secondo me, sono degli animali stupendi. Provo per loro quello che ora dovrei provare per i poveri cavallucci marini.
Ma a parte gli scherzi, lavorare con gli squali, nuotare in mezzo a loro e fotografarli è per me bellissimo e abbastanza tranquillo. Mi spiego meglio. Se conosci bene o male le specie, conosci i loro atteggiamenti, le loro abitudini, quando poi ti immergi inizi anche a capire quando la specie è un po’ più nervosa. Sono dell’idea che, se tu rispetti l’animale, lui non ti distrugge. Però ricordiamoci comunque che sono dei predatori.
Le tue foto che li ritraggono sono di stampo anche abbastanza diverso tra loro. Pensi che fotografare questi animali nel loro habitat naturale possa aiutare ad avere una percezione più corretta della loro immagine pubblica? Che tipo di reazioni ricevi quando ad esempio mostri la foto di un pinna nera che nuota tranquillamente a pochi metri da te?
Dai riscontri che ho avuto, facendo vedere le foto soprattutto ad amici e famiglia, vedi che c’è uno stupore iniziale. Poi parlando con loro, le persone capiscono che non tutti gli squali sono aggressivi soprattutto nei confronti dell’uomo, visto che ci sono degli squali come il pinna nera che raggiunge il metro e mezzo sì e no. Quindi iniziano a capire che ci sono diverse tipologie di specie e che diverse relazioni possono instaurarsi tra uomo e squalo in base alla specie che ci si trova davanti. Alla fin dei conti, nella maggior parte delle persone comunque la paura rimane. Ti dicono “no, io non lo farei mai. Perché devo rischiare di mettere in pericolo la mia vita?”. Altri invece cambiano idea, iniziando persino ad apprezzare questi animali.

Comunque, io credo che la percezione da parte delle persone stia cambiando molto, grazie ad un grosso lavoro di divulgazione. Quindi vedo che sta cambiando il concetto dello squalo cattivo, anche grazie ai fratelli Spinelli (leggi la nostra recensione su Shark Preyed o l’intervista ad Andrea Spinelli). Per quanto mi riguarda, le fotografie che metto sono per far capire che anche gli squali sono animali come tutti gli altri. Puoi ammirarli e rimanere impressionato dalla bellezza della natura.
Guardando sempre il tuo profilo Instagram, c’è stata una fotografia che mi è particolarmente piaciuta, ovvero quella dello squalo bianco che sta uscendo fuori dall’acqua con la bocca aperta. Insomma, in una posa che può sembrare un vero attacco. Collegandoci un momento alla domanda precedente, una foto del genere può invece incrementare questa immagine dello squalo cattivo. In questo senso, secondo te, è giusto mostrare anche fotografie di questo tipo?
Io credo che nella divulgazione sia importante mostrare tutti i comportamenti degli animali, anche quelli che magari creano un po’ più di ansia e/o paura. In questo caso ad esempio è una fotografia scattata in una determinata circostanza. Abbiamo usato la testa di un tonno per far avvicinare lo squalo bianco. È stata una situazione ricercata per lo studio che stavamo conducendo in Sud Africa. Io ho scattato la foto. Se le persone leggono la descrizione sotto o chiedono direttamente, possono venire a conoscenza del fatto che quell’atteggiamento è legato ad un preciso momento dell’animale. Comunque sono predatori naturali ed apicali quindi hanno anche questi comportamenti. Sono degli argomenti difficili da trattare, ma sono completamente favorevole in quanto ricercatore, fotografo e appassionato. Da qualsiasi punto di vista. In quella foto, nello specifico, viene visto un atteggiamento di caccia ed è bellissimo, spettacolare. Io resto impressionato quando lo vedo e penso che sia corretto cercare di raccontare tale bellezza alle persone, perché ti dimostra che quell’animale è un predatore.

Marco attraverso le sue foto
Quale è la tua fotografia “perfetta” secondo te? Quale, insomma, ha riscontrato anche un maggior successo tra il pubblico?
Io non penso di averne. Tra tutte quelle che ho fatto, penso che me ne piacciono tre o quattro. Una è il giaguaro, poi quella di un pesce pagliaccio che non ho ancora pubblicato, una di uno squalo. Però sì, insomma quando ho visto queste ho pensato “wow, forse sto imparando a fare le fotografie”.
Invece, quale tra le tante che hai scattato definiresti la tua foto del cuore? Quella che, anche se non è perfetta a livello tecnico, ti ha lasciato qualcosa?
Quando ho fotografato lo squalo balena, perché mi ha trasmesso davvero tanta tristezza. C’era questo bellissimo animale, circondato da ogni lato e vederlo mi ha fatto tristezza. Poi c’è la foto di un bradipo, che ho tatuato. Ma anche la foto di un calamaretto, perché credo che sia una delle più difficili che abbia fatto e quindi poi mi sono emozionato.
C’è un animale che è il tuo sogno nel cassetto della fotografia? Ovvero non hai ancora fotografato ma che vorresti invece farlo prima o poi?
Anche qui, non c’è n’è solo uno, ma ben tre: squalo martello, squalo volpe e puma. I primi due, vabbè, sono squali quindi si può immaginare il motivo. Il puma perché…è un gattone! È un bellissimo micione. È tutta colpa del giaguaro che ho visto in Brasile. Sono dei gattoni, davvero.
Siamo giunti al termine, ma prima di lasciarti andare ti vorrei chiedere se c’è un messaggio che vorresti lasciare a chi ci legge:
Il mio messaggio è più che altro un consiglio che vorrei dare a chi magari vuole avvicinarsi a questo mondo. Non lasciatevi spaventare dalle difficoltà e dalle cifre. Ci sono tantissime macchinette compatte che ti permettono di scendere senza scafandri e che ti regalano comunque delle fotografie bellissime. Inoltre, apprezzate il mondo marino così come lo vedete senza toccare o modificare, perché è già impressionante così com’è.
Non c’è bisogno di creare la fotografia, ma cercarla in ciò che già c’è!







